È possibile manipolare i geni dei criceti: ma come mai è stata sperimentata questa delicata pratica? Ecco tutte le motivazioni
I criceti sono degli animali domestici davvero interessanti: la loro indole è davvero molto curiosa, tant’è che li porta ad essere attivi la notte più che il giorno, oltre che dimostrarsi estremamente schivi e delicati. Ecco le ultime sperimentazioni portate avanti dalla scienza in merito a questa specie…
Nell’ultimo periodo, la scienza ha avuto modo di studiare e testare (soprattutto in agricoltura) la cosiddetta CRISPR-Cas9, tecnica che interviene direttamente sul DNA cambiandone alcune parti senza interferire sul resto del genoma.
Questa particolare tecnica è stata poi anche testata su alcune tipologie di animali, in particolare, proprio sui criceti: a condurre l’esperimento, un gruppo di ricerca della Georgia State University che, su uno studio pubblicato su PNAS, ha rivelato di aver avuto dei risultati molto diversi da quelli aspettati.
Ecco dunque cosa sarebbe accaduto…
La tecnica avrebbe dovuto agire sulla condotta dei criceti sopprimendo il recettore Avpr1, che reagisce a un ormone chiamato vasopressina, responsabile di alcuni comportamenti dei criceti, quali socializzazione o aggressività. Venendo meno la sua ricezione, dunque, i roditori avrebbero dovuto ridurre del tutto questi aspetti caratteriali: eppure non è stato proprio così…
Contro ogni aspettativa, è successo completamente contrario: i criceti che sono stati sottoposti a questa tecnica e, per quanto abbiano effettivamente mutato alcuni aspetti del loro carattere, si sono rivelati in realtà più socievoli e più aggressivi.
E ancora, la mutazione del genoma di questi roditori ha del tutto soppresso qualsiasi differenza di genere. Di solito, infatti gli esemplari maschi sono più aggressivi tra loro, cosa che non avviene tra le femmine: tutto ciò è completamente svanito.
Lo stesso Elliott Albers, uno degli autori dello studio, è rimasto sorpreso dai risultati ottenuti, cercando di trovare una spiegazione plausibile: è probabile che il recettore Avpr1 non sopprima alcuni atteggiamenti, ma li amplifichi.
Qual è la conclusione dunque? Essendo i criceti molto simili agli umani dal punto di vista dell’organizzazione sociale, è possibile che i risultati di questo studio possano essere applicati anche alla nostra specie.
Basta soltanto fare i conti sul fatto che certe manipolazioni possano agire su tutta la nostra struttura cerebrale e non solo su una determinata sezione.
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